Brani:  
 

Vieni Vita Vieni

pp 31-32
....19 settembre 1964
Oggi mamma è partita per Chianciano, ed io sono doppiamente triste perché ho saputo che è morta la signora “Abbandonata”.
La signora “Abbandonata”, non so perché, era chiamata così. So, per certo, che questo non era il suo vero nome. Non so nemmeno qual’era il suo nome di battesimo: sembra impossibile, eppure è proprio così, anche se, per tanti anni, abbiamo fittato la casa sua ad Ischia. Era una casa bianca, bianchissima, con una scala ricoperta di boungaville. Non ricordo case più belle ed accoglienti di quella. Forse, perché c’era lei che ci accudiva, ci cucinava, ci voleva bene. Era una donna alta, robusta, con i capelli grigi, lisci, legati a crocchia. Era sempre vestita di nero ed era attivissima. Io, quand’ero piccola preferivo addirittura, stare con lei piuttosto che andare a mare. Mi dava sempre tanti baci e mi accudiva meglio di mia madre, con le sue mani ruvide e veloci. Quelle mani che correvano sul tombolo con una tale maestria e velocità che io la stavo a guardare ipnotizzata, per ore. Era una magia, per me: dal quel guazzabuglio di asticelle e fili veniva fuori, un po’ per volta, un merletto bellissimo. Parlava in dialetto avellinese stretto ed io non la capivo per niente. Ma non importava. Piangeva per le angherie che le faceva il marito “l’Appuntato”. Anche lui non aveva altro nome all’infuori di questo, per noi. “l’Appuntato” stava sempre vestito da cacciatore, con il fucile ed i cani ed era, perennemente, ubriaco fradicio. Anche lui parlava una lingua incomprensibile ed in più strascicava. Picchiava la moglie e le lesinava i soldi, anzi, non le dava nulla.  “Te ne do cento e non ti bastano, Te ne do duecento e non ti bastano: Te ne do trecento e non ti bastano”. E così continuava la signora “Abbandonata”, quando riferiva a noi i litigi. Solo che, cento, duecento, trecento, tutto erano fuorché i soldi. E lei si lamentava “Me inzuzzete!” Mi hai insudiciato. A me e Francesca questa frase ci affascinava e, per anni, l’abbiamo detta e ripetuta, nelle occasioni più svariate, con quella stessa cadenza un ritmo di nenia. Una volta, in un viaggio da Roma a Napoli, in automobile, ci mettemmo di impegno e la ripetemmo, migliaia di volte. “Me insuzzete!”. Finché babbo e mamma non ci sgridarono, a tutte e due. Selvaggiamente. Quasi ci picchiarono. Eppure, avremmo continuato all’infinito.
Ciao, signora “Abbandonata”, ricorderò, sempre, il tuo viso abbronzato e rugoso, sorridente e piangente insieme, i tuoi baci umidi e le tue frasi incomprensibili. Anche da te e con te ho avuto un pezzettino di felicità....

pp 53-54
....22 giugno 1976
Siamo tornati dal viaggio di nozze, 12 giorni, il più originale e divertente che si possa immaginare. Siamo partiti in abito elegante da viaggio, a bordo della nostra piccola FIAT, con una tenda canadese e nessun programma di viaggio, seminando costernazione nei nostri genitori e stupore nel resto dei parenti e degli amici che ci salutavano alla bellissima festa della cerimonia. 
Prima tappa, Portofino, dove degli indimenticabili "pansoti" in un ristorantino sul porto, ci hanno dato il benvenuto per la prima notte di nozze. Seconda tappa, dopo una guida estenuante di molte ore, Tournus, in Francia. Terza tappa, Parigi: camping Bois de Boulogne, con un caldo raccapricciante, persino la mia matita per il trucco si è liquefatta. Nella telefonata a Napoli per dare il nostro recapito abbiamo dovuto ripetere più volte, scandendo, dove stavamo. Dall'altro capo del telefono, mamma e babbo, insistevano: Hotel? Quale Hotel? 
No, Ca-m-ping Bois de Boulogne.
Silenzio sepolcrale. Antonio ed Annalena sono completamente impazziti. Tornati, davanti al nostro entusiasmo, siamo diventati "avventurosi". Vuoi vedere che, un giorno, ci chiameranno "eroi"? 
A Parigi, per pranzo pollo e patatine e, in serata, i ritrovi più suggestivi, messa di mezzanotte a Montmartre, giro della Senna sul bateau mouche, la torre Eiffel e, infine, la chicca: cena chez Maxim.
All'ingresso, in jeans e maglietta, ci hanno bloccati.
"Monsieur, papillon s'il vous plait" 
Niente paura. Siamo tornati in campeggio, abbiamo tirato fuori dalle valigie i nostri abiti migliori, li abbiamo frettolosamente stirati, stando carponi sulla stuoia della tenda e siamo usciti dal camping, irriconoscibili, come Barbie e Ken. Nel ristorante più esclusivo di Parigi, tra le risate e la paura di non farcela con i soldi, Antonio, ingessato dall'imbarazzo, si preparava al momento in cui il serissimo maitre che ci tallonava, mescendo il vino, spostando le sedie se volevamo andare al bagno e osservandoci con apprensione nella degustazione di ogni pietanza, ci avesse chiesto, mostrando il conto: avez vous l'argent? Noi avremmo risposto: no, monsieur, nous l'avons, c'est a dire nous lavons, cioè noi laviamo. I piatti, naturalmente. Con un sospiro di sollievo ce l'abbiamo fatta con i franchi e, accompagnati dall'imperturbabile maitre all'uscita, ci siamo accorti con raccapriccio che lui aveva adocchiato la nostra inpolveratissima 127, parcheggiata proprio lì, tra una Mercedes ed una Porsche, con il bi-pot da campeggio in bella mostra sul sedile posteriore ed un indescrivibile disordine di pentolini e panni. Au revoire monsieur.
Quarta tappa: Costa Azzurra, Cap d'Antibes, con la tenda piazzata sotto un grande salice ed una sbronzata indimenticabile di vino bianco, ghiacciato, bevuto per sete e senza controllo. Cannes, Montecarlo. Italia. Casa. A via Tasso, la nostra incantevole casa:prima tappa di una nuova vita....

pp 70-71
....1 novembre 1983
Sta finendo il 1983 che ha ancora il tuo profumo, mamma, il tuo sorriso, la tua presenza.
Continua tutto come quando c’eri tu: Dallas alla televisione, la spesa per il pranzo di ogni giorno, la scuola dei bambini, e stanno già montando le stelle luminose per le strade: si avvicina, il Natale. Solo tu ti sei fermata.
Le tue fotografie rimangono sempre le stesse ed anche se io le cambio in continuazione nelle cornici, saranno sempre le stesse: non ci saranno rughe nuove sul tuo viso ed i capelli non cambieranno più colore.
Anche il tuo parrucchiere sta sempre lì: ogni volta che passo davanti al negozio m’immagino che tu stia dentro e che io possa venire a salutarti, per rubarmi un altro sorriso  sul viso arrossato per il calore del casco, bello anche sotto la corona dei bigodini. Compiaciuto, quasi commosso com’era, sempre quando mi scorgevi all’improvviso.
Quanta gente sta con la mamma, la signora incinta che sceglie il corredino, la casalinga della pubblicità che adopera il detersivo, l’ex compagna di scuola, sessantottina d’assalto che snobbava la famiglia e chiamava la madre per nome e che adesso passeggia con lei, sotto braccio, scansandola, con premura, dai pericoli della strada.
In questa società che sembra rinnegare tutto, che ride su quello su cui non si dovrebbe ridere e piange su quello su cui non dovrebbe, si sente sempre, da qualche parte, la parola mamma.
Non verrò a trovarti, per i giorni dei morti: c’è troppa gente al cimitero.
Stasera un bicchiere di vino in più, un cioccolatino, due sigarette e magari un goccio di Cointreau, per dimenticare, per far finta di niente, per vivere con me amputata di te.
Sarebbe stato meglio averti ancora, malata, smagrita, irriconoscibile, perdendoti giorno per giorno o è meglio così, con questo baratro che mi disorienta in cui ti cerco sempre e non mi rassegno a non trovarti più?....

 
     
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